L’Arte Organica di Costanzo Antegnati

una lettura del trattato del 1608

Costanzo Antegnati (1549-1624), figlio di Graziadio, deve la sua notorietà al trattato “l’Arte organica“, pubblicato a Brescia nel 1608; Costanzo, oltre che organaro, fu musicista e ricoprì l’incarico di organista del Duomo di Brescia dal 1584 al 1619. Le sue spoglie riposano nella chiesa di San Giuseppe, accanto al monumentale organo da lui costruito insieme al padre Graziadio.

Il trattato de “l‘Arte organica” è per tutti gli studiosi un prezioso strumento per cercare di entrare nel mondo sonoro dell’arte organistica del Rinascimento italiano. Il punto di vista di Costanzo differisce molto da quello di altri trattatisti coevi: è il punto di vista di un musico pratico che vuole aiutare gli organisti a ben comportarsi allo strumento, a impiegare con gusto i registri dell’organo. Inoltre come organaro, egli vuole difendere il nome della famiglia, rivendicando la costruzione di molti strumenti e dandoci un catalogo, seppur parziale, delle sue opere.

A i benigni lettori et honorati Organisti

Fatta professione di devota considerazione per i più importanti compositori dell’epoca, Antegnati dichiara i suoi Ricercari, usciti in contemporanea per i tipi di Gardano a Venezia, come musica composta secondo lo stile della grande tradizione veneziana: egli cita infatti Annibale Padovano, Claudio Merulo, Andrea e Giovanni Gabrieli, oltre ad altri autori oggi meno conosciuti.

Subito però pone l’accento che il suo scritto non si pone in concorrenza ai trattati del Diruta (per la tecnica organistica), di Banchieri (per rispondere al coro), o a quelli di Gaffurio, Laffranco, Ponzio, Zarlino, Artusi (per il contrappunto).  “L‘Arte organica” è costituita  da “particolari avvertimenti, & regole circa il maneggiare d’Organi”.

Indice delli organi fabricati in casa nostra

Apre lo scritto un catalogo degli organi riferibili a Costanzo, divisi per zone geografiche. La bottega era a Brescia; non è quindi casuale che Brescia e Bresciano occupino una parte importante di questo catalogo. Troviamo però strumenti anche a Mantova e nel Mantovano, a Bergamo e nella Bergamasca, in Valtellina, a Como, a Crema, a Milano e nel Milanese, a Pavia, a Lodi, a Parma, a Cremona e nel Cremonese, a Verona e nel Veronese, a Vicenza, a Padova e perfino a Venezia.

Al catalogo segue una diffida di affidare la manutenzione di questi preziosi strumenti a manovali ed operai, ma di rivolgersi sempre ai veri organari.

Il catalogo è servito negli anni come stimolo per le ricerche d’archivio, anche se nessuno ha mai sistematicamente esplorato tutte le località indicate dal catalogo.

E’ importante considerare che la famiglia Antegnati si era spezzata in almeno in due rami: mentre Graziadio e Costanzo operavano a Brescia, a metà del Cinquecento Gian Giacomo, zio di Graziadio,  aveva trasferito a Milano la sua bottega, rilevata poi dal figlio Benedetto. Gli strumenti di questi “Antegnati milanesi” non sono citati nel catalogo. Il catalogo riporta infatti per Milano:

Si tratta di tre monasteri, oggi non più esistenti, e della chiesa di San Marco, il cui organo conserva ancora alcune canne di Costanzo. La dicitura Corista si riferisce probabilmente all’abbassamento di diapason, operazione fatta in molti strumenti alla fine del Cinquecento.

Non si trova, in questo elenco di organi milanesi, l’organo di San Maurizio al Monastero Maggiore e neppure gli organi del Duomo o di Santa Maria della Passione: nessuno strumento costruito da Gian Giacomo e dal figlio Benedetto.

Dopo il 1608 l’attività di Costanzo e dei sui discendenti continuò per alcuni decenni. Anche gli strumenti costruiti in quegli anni logicamente non sono menzionati nel catalogo. Un esempio è il celebre organo  di Peglio sul lago di Como, databile fra il 1613 e il 1625.

l’organo di Sant’Eusebio a Peglio

“Dialogo, padre et figlio”

Date alcune notizie di carattere storico, Costanzo da, usando la forma del dialogo fra lui e suo figlio Giovanni Francesco, 11 avvertimenti: viene chiarito il comportamento devoto ed educato dell’organista (1-7, 9), che viene ad esempio invitato a non affacciarsi dalla cantoria per farsi vedere e notare (!).

Sarà bene poi che l’organista non faccia rumore nell’inserire i registri (8).  Egli viene invitato a conoscere le particolarità dell’organo prima di iniziare a suonare, capire quali sono i registri (che possono essere a volte spezzati, cioè non completi in tutta la tastiera). Importanti che provi la qualità della tastiera (“che non tutti gli organi hanno le tastature così buone facili come quelle degli organi nostri Antegnati”) (10, 11).

“Regola dell’accordar gli Organi, che serve anco per accordar i Cavacembali, Arpicordi, Manacordi & simili di tastadura”

Costanzo ci espone le regole per l’accordatura: partendo dalla nota FA, il sistema di accordatura  ricalca lo schema del cosidetto “tono medio”. Logicamente le indicazioni che l’ottava sia “esattamente, che de due corde bisogna che paiano una sola”, “le quinte bisogna, che alquanto siano scarse, che a pena se ne possa accorgere” e “le terze maggiori si tirano à tutta quella perfettione, che si può” possono aprire il campo e differenti interpretazioni: dal mesotonico classico ad un quarto di comma, fino a forme più mitigate, in cui le quinte siano appena appena strette e le terze di quella bellezza che ne consegue, ma non veramente pure.

Costanzo parla poi di almeno quattro diapason differenti (“di tutto ponto, ò di mezzo, ò alta, ò bassa“) in cui sono accordati gli organi. Nell’indice degli organi compare più volte la scritta corista, sicuramente un riferimento di lavori di modifica del diapason, effettuata sugli strumenti citati. Il diapason era più alto in alcune regioni (ad esempio sappiamo che a Venezia il diapason era particolarmente alto) e più basso in altre. Col passare dei decenni alcune consuetudini di diapason cambiarono; al tempo di Costanzo la richiesta di molte chiese era di avere un abbassamento di corista, forse per permettere l’uso di strumenti accanto all’organo.

Il monumentale organo di San Giuseppe a Brescia, il cui ripristino dovrebbe essere imminente

 

“Modo di registrar li organi, cioé di componere li registri”

Questa è la parte più celebre e citata del trattato. Costanzo prende ad esempio otto organi costruiti dalla sua famiglia: il Duomo di Brescia, San Faustino e le Grazie a Brescia, Santa Grata a Bergamo, la Chiesa del Carmine a Brescia, San Marco a Milano, San Giuseppe e la Madonna dei Miracoli a Brescia.

Per ognuno di questi strumenti egli ci da la disposizione fonica e ci insegna alcuni modi per comporre le registrazioni. Possiamo identificare quindici differenti combinazioni di registri, che qui elenchiamo:

Primo modo: il ripieno da cui sono esclusi i flauti;

Secondo modo: mezzoripieno cioè Principale, Ottava, Flauto in ottava, ultime due file del ripieno.

Terzo modo: Principale, Ottava, Flauto in ottava.

Quarto modo: Principale, Flauto in ottava. (“per far d’ogni cosa e per concertar mottetti”)

Quinto modo: concerto di cornetti cioè Ottava, Decimanona, Vigesima seconda di concerto, Flauto in ottava.

Sesto modo: Ottava, Flauto in ottava. (“per suonar Canzoni alla francese”)

Settimo modo: Ottava, Flauto in ottava, tremolare.

Ottavo modo: Principale solo (“per suonar alla levazione della Messa”), anche “per cantar motteti con poche voci” o con il tremolo

Nono modo: Due Principali

Decimo modo: Flauto in ottava solo (anche con il tremolo)

Undecimo modo: Principale soprani e Flauto in ottava, e Principale bassi al pedale.

Duodecimo modo: Principale e Flauto in XV, volendo anche con l’Ottava (per suonare diminuito).

Altro modo: Fiffaro con il Principale solo (“con movimenti tardi e legato”)

Altro modo: Principale e Flauto in XII (per Canzoni alla francese), o anche con l’Ottava.

Altro modo: Ottava sola ( “ma negli organi di dodici piedi , dove fa l’effetto di un Principale d’organo mezzano”).

Le registrazioni di Antegnati trovano dei paralleli in Italia nel trattato “il Transilvano” di Girolamo Diruta (la seconda parte è pubblicata a Venezia nel 1609). Un’altra indicazione per l’uso dei registri è la tabella “tutti li modi di sonar con l’organo“, conservata nell’Archivio Parrocchiale di Valvasone, risalente alla prima metà del Cinquecento (nella chiesa di Valvasone  ancora esiste il prezioso organo di Vincenzo Colombi).

In tutte questi scritti è chiaro che la prima e forse più comune sonorità dell’organo era il Ripieno, che in Italia voleva l’esclusione dei registri di flauto e implicava l’uso del pedale, per donare maggiore gravità e splendore alla sonorità.

La caratteristica del Principale, che più veniva lodata da Antegnati, era la sua delicatezza; la sua funzione era anche quella di accompagnare il canto. L’organo e l’organista in Italia rimasero sempre al servizio della cappella e delle voci.

L’uso particolare del Flauto in ottava con l’Ottava ha un funzionamento perfetto grazie alla particolare collocazione di questi registri sul somiere. Gli Antegnati disponevano, dopo il Principale in facciata, le altre canne del Ripieno a digradare ed solo in fondo al somiere i flauti. I due registri Ottava e Flauto in ottava erano quindi distanti fra loro. La stessa registrazione su uno strumento dove i due registri sono contigui da, spesso, problemi di interferenza (bisogna quindi sempre usare con attenzione le istruzioni che troviamo nei trattati e verificare se la registrazione con due registri vicini sia effettivamente efficace).

A quale repertorio a cui si riferisce il trattato di Antegnati? Non è una questione marginale: ha senso leggere il trattato alla ricerca di quali registri usare per le opere di Frescobaldi, di Trabaci, di Mayone piuttosto che dei musicisti che vissero cinquanta anni dopo, ad esempio Storace o Pasquini? A mio parere è un allargamento di campo molto arbitrario; non penso ci sia una relazione fra l’Arte organica, che non ebbe certo una grande tiratura e diffusione e molta della letteratura organistica del barocco italiano.  L’orizzonte culturale di Costanzo era la musica di area padana della fine del Cinquecento e degli inizi del Seicento. I musicisti a cui lui si riferisce sono i celebri maestri veneziani e i meno noti musicisti di aerea padana (da lui vengono citati espressamente Ottavio Bariolla e Ruggero Trofeo). Per questa musica e per l’arte rinascimentale veneziana (non dimentichiamo che Brescia era in terra veneziana all’epoca) il  trattato rimane una fra le fonti più preziose.

Grazie a “l’Arte organica” capiamo come suonare gli strumenti di grandi dimensioni di Antegnati che ci sono arrivati (penso a San Maurizio a Milano, organo di dodici piedi o a San Giuseppe a Brescia, imponente strumento di 16 piedi).

L’organista che si siede di fronte a queste tastiere non sa oggi distinguere quale sia il do centrale. Ma la particolarità della tradizione italiana era quella di cambiare tessitura, usando un registro  “in alto” o “in basso”, trasformando un Flauto in ottava da un simpatico zufolino ad una sonorità scura e patetica, quando suonato all’ottava grave. I riferimenti a questi cambi di tessitura sono numerosi nell’Arte organica e sono qualcosa di unico rispetto al panorama europeo.