Cenni storici
Nel 1649 re Carlo I d’Inghilterra fu decapitato e fu proclamata la repubblica (Commonwealth): questa durò undici anni.
Nel 1660 la “Restaurazione” non fu solamente il ritorno del re: con l’ingresso trionfale di Carlo II a Londra, molti aspetti della cultura precedente l’esperienza repubblicana furono riportati in vita, non ultima la gloriosa tradizione di musica sacra.
Furono però necessari alcuni anni per ripristinare la tradizione dei cori di bambini; ancora più difficile si presentò la situazione per gli organi. Nel 1644, sotto l’influsso del Puritanesimo, il Parlamento aveva infatti ordinato “la demolizione di tutti gli organi nelle Cattedrali, nelle chiese collegiate, parrocchiali e nelle cappelle”. Fu quindi necessario non solo ritrovare una tradizione musicale perduta, ma ricostruire materialmente gli strumenti, ricreando una scuola organaria ancor prima che una scuola organistica.
L’organo
All’inizio del Seicento, l’organo inglese si presentava come uno strumento di non grandi dimensioni, privo di pedaliera e spesso ad un unico manuale. Quando vi era una seconda tastiera, il corpo sonoro corrispondente era collocato come positivo tergale. Le composizioni scritte per un tale strumento presero il nomne di Voluntary for double organ; le due tastiere prendevano i nomi di Great and Chair.
Gli organari che maggiormente influenzarono la rinascita dello strumento a canne dopo la Restaurazione furono Renatus Harris e Padre Smith. Harris si era rifugiato a Parigi durante il Commonwealth e riportò sull’isola molti aspetti dell’organaria francese. Bernard Smith, organista e organaro tedesco, trapiantatosi a Londra nel 1660, costruì alcuni fra i più importanti strumenti della capitale. Grazie a questi due costruttori gli organi inglesi si arricchirono di nuovi timbri (ance, cornetti, misture). Divenne usuale disporre alcune canne in una cassa chiusa, per ottenere effetti di eco; già nel 1727 fu introdotto, su questa cassa, un dispositivo di gelosie apribili che consentiva di realizzare crescendo e diminuendo. Questo corpo d’organo prese il nome di Swell.
Restoration
Il concetto di “Restaurazione” implica il ritorno a ciò che è percepito come un’epoca d’oro e presenta normalmente tendenze conservatrici.Nell’Inghilterra della Restaurazione il re e la sua corte rappresentavano il ritorno alla gloriosa tradizione Elisabettiana. Nello stesso tempo la corte era ansiosa di trapiantare sull’isola le tendenze artistiche del Continente, dove aveva passato gli anni dell’esilio. Nella musica organistica di John Blow e di Henry Purcell, i due maggiori compositori del periodo, troviamo questa contrapposizione: il coesistere di elementi tipicamente inglesi con pesanti influenze dei nuovi stilemi italiani e francesi.
Un prezioso anello di congiunzione fra la tradizione elisabettiana e l’epoca della Restaurazione è Christopher Gibbons, il figlio di Orlando Gibbons, nominato organista della Cappella Reale e dell’abbazia di Westminster nel 1660. Egli fu insegnante di Blow: di lui ci rimangono solo cinque composizioni organistiche, fra cui due Voluntary for double organ. L’uso esasperato delle dissonanze è fra le caratteristiche più appariscenti della sua musica: le dissonanze derivano sia dallo scontro contrappuntistico delle voci che dalle numerose appoggiature introdotte in ogni linea melodica. Questa particolarità è presente anche nella musica organistica di Purcell.
Henry Purcell
Henry Purcell venne assunto all’età di otto anni fra i fanciulli cantori della Cappella Reale: a quella data Christopher Gibbons ne era l’organista titolare. Egli suonava nella Cappella Reale su uno strumento non molto grande (abbiamo notizie che l’organo fu spesso smontato e spostato in poco tempo in altri luoghi, per cerimonie particolari). Il suo compito era di suonare all’inizio e alla fine delle funzioni, oltre ad un brano per l’Offertorio. Già dall’epoca della regina Elisabetta I, con l’abolizione del latino nella liturgia inglese, erano questi i principali compiti dell’organista in Inghilterra, senza più legame con l’antica pratica dell’alternatim (pratica con cui l’organo rispondeva al canto gregoriano).
Purcell ricoprì la carica di terzo organista della Cappella Reale dal 1682. Nel 1679, John Blow, che era stato suo insegnante, gli cedette il posto di organista dell’Abbazia di Westminster.
Opere per organo
Nonostante queste due importanti cariche, è pochissima la musica organistica di Purcell giunta fino a noi: solo cinque numeri di catalogo.
Il Verse Z 716 è una breve composizione, probabilmente un esempio di come l’organista era solito improvvisare per dare “il tono” ai cantori. Nonostante l’impianto imitativo, la polifonia è scarna ed il brano quasi sempre a due voci.
Assai più interessanti sono il Voluntary Z 718 e il Voluntary for double organ Z 719. Queste due pagine sono in gran parte coincidenti dal punto di vista tematico: il Voluntary for double organ sfrutta però le potenzialità di uno strumento a due tastiere. In ambedue le composizioni colpisce la densità delle entrate tematiche, improvvisamente interrotte per dare spazio a dei brevi soli virtuosistici.
Il Voluntary on the 100th Psalm tune Z 721 E’ una composizione interessante perché rappresenta una sorta di unicum nel repertorio inglese del periodo. Si tratta di un “corale”, in cui una melodia in valori lunghi e con sonorità più forte, viene accompagnata nelle altre voci da figurazioni contrappuntistiche. Anche questa composizione ci è giunta in due versioni: una for double organ, attribuita nel manoscritto in cui è conservata a John Blow, e una per un organo con i registri “spezzati”. Questi registri spezzati erano estesi solo per metà tastiera (bassi o soprani) e consentivano quindi di avere su un unico manuale due timbri diversi. Il corale viene affidato, in questa versione, al Cornetto nei soprani e alla Tromba o alla Sesquialtera nei bassi.
Il Voluntary in sol maggiore Z 720 ci ricorda all’ascolto il mondo sonoro di Frescobaldi; la prima parte di questa composizione potrebbe portare il titolo “Durezze et ligature”. L’influenza esercitata nell’Inghilterra della Restaurazione dalla musica di Frescobaldi non è una pura considerazione stilistica: se esaminiamo attentamente l’opera organistica di John Blow, che di Purcell fu insegnante, in ben due casi egli ricorre addirittura al plagio, inserendo in sue composizioni spezzoni di Toccate frescobaldiane.
Oltre all’influsso di musicisti italiani (Albrici, Reggio, G.F. Grossi detto Siface, Giovann Battista Draghi), che numerosi si trasferirono in questo periodo a Londra, ricordiamo come sia Henry Cooke, colui che ricostruì e istruì la Cappella Reale nel 1660, come pure il suo successore, Pelham Humfrey, si qualificassero come esperti nell’ “italian style of singing“.
L’influsso francese non è facilmente rintracciabile nelle poche composizioni organistiche di Purcell, se non forse nell’uso esuberante dell’ornamentazione. (Si veda al riguardo le Rules of Graces, che si trovano nell’edizione postuma delle Choice Collection of Lessons for the Harpsichord). Più facilmente si può parlare di influsso francese nelle opere di Blow o di Matthew Locke, autore quest’ultimo di sette composizioni for the organ pubblicate all’interno della raccolta Melothesia nel 1673: l’elemento francesizzante più evidente è la scrittura en Dialogue nelle composizioni for double organ. Anche alcune composizioni in stile imitativo di John Blow, indistintamente chiamate Voluntary o Verse od ancora Fugue si collegano nella tematica molto più alle Fugue grave francese che al ricercare italiano.
Organo e improvvisazione
Il motivo di una così limitata produzione organistica di Purcell si può spiegare, ancor più che nella infelice trasmissione di ipotetici manoscritti, con due considerazioni: innanzitutto la musica organistica era essenzialmente improvvisata; questo ci è confermato da un interessante commento di Roger North, nobile londinese che conobbe personalmente Purcell:
“….Se vi è talento, la maggior parte degli strumenti permettono fioriture, toccatine, arpeggi e passaggi diversi che sono della natura dell’improvvisazione (del “voluntary”); ma sull’organo è questa la maniera specifica e colui che suona qualcosa di composto o scritto può certo intrattenere ma non é vero organista, perché a quest’ultimo è sufficiente avere i tasti sotto il raggio delle sue dita. Come la scultura è già nel legno e lo scultore non deve far altro che togliere il superfluo, così tutta l’armonia è già nello strumento e le dita devono solo farla sgorgare nella maniera voluta e desiderata. ….”
Scrivere per insegnare
Un secondo motivo potrebbe spiegare una produzione così poco fertile: la musica organistica veniva messa per iscritto soprattutto per fini didattici. Purcell morì troppo giovane e non si conoscono suoi allievi. Al contrario il compositore inglese della seconda metà del Seicento di cui abbiamo più opere per organo è John Blow: non a caso egli fu l’insegnante di un’intera generazione di organisti. Fra i suoi allievi più noti, oltre a Purcell, ricordiamo John Barret (ca.1674 – ca.1735) e John Reading (1677 – 1764), Jeremiah Clarke (1673-1707), William Croft (1678-1727).
Un duello fra organi
Una curiosa notizia di Purcell organista ci è narrata da Thomas Tudway, londinese che negli ultimi anni del Seicento scrive al figlio una lettera, ricordando alcuni avvenimenti musicali del 1684. In quell’anno si era svolta una originale competizione per la costruzione di un nuovo organo nella “Temple Church”. I due candidati erano i sopracitati Bernard Smith e Renatus Harris. Ognuno dei due aveva costruito uno strumento in una parte differente della chiesa;
“… il Dr. Blow e Mr. Purcell, che era all’apice del suo splendore, mostrarono e suonarono l’organo di Padre Smith in giorni stabiliti per un largo pubblico….. Mr. Harris portò Draghi, organista della regina Caterina, un eminente maestro, per suonare il suo organo….. questo competere durò quasi dodici mesi “.
Fu l’organo di Smith che alla fine prevalse e rimase nella chiesa (solo l’organaro vincente fu retribuito, al perdente non rimase che smontare il suo strumento e riprenderselo!).
In una schiera di figure, per lo più ancora inesplorate, si può cercare l’eredità della tradizione di Purcell e Blow. Citiamo qui di seguito Philipp Hart (ca. 1676 – 1749), William Croft (1678 – 1727), Maurice Greene (1695 – 1755). Pochi anni dopo l’influsso di Georg Friedrich Handel e della musica corelliana divenne talmente forte da confinare Purcell al passato.