Le diteggiature antiche: I parte

Le fonti più antiche: il Fundamentum di Hans Buchner (1520 ca.)

Nell’affrontare l’interpretazione della musica del passato non dobbiamo mai dimenticare quanto diverse siano state, nel corso dei secoli, le tecniche di esecuzione. Come in ogni arte – nella pittura, nella scultura, nella scienza di costruire – la tecnica esecutiva ha conosciuto anche nella musica moltissimi cambiamenti durante i secoli.

L’evoluzione è stata originata sia dai mutamenti dell’estetica musicale che dalle novità nella costruzione degli strumenti musicali. E’ necessario però abbandonare il pregiudizio che le tecniche antiche siano primitive. Dobbiamo invece cercare la logica che unisce stile compositivo, estetica musicale, tecnica esecutiva e costruzione degli strumenti:  improvvisamente ci apparirà il senso di alcune diteggiature tramandateci dalle fonti antiche e completamente diverse da quelle in uso nei nostri giorni.

In una serie di brevi articoli, cercherò di introdurre le diteggiature usate in alcuni specifici momenti storici, spiegandone il significato e contestualizzandole nell’estetica musicale del periodo.

Le fonti

La fonte più antica che ci parla di diteggiature risale al 1462 e si conserva nell’archivio del castello di Praga. In alcuni fogli di musica, dopo alcune formule melodiche, viene indicato la “dispositione digitorum“, cioè con che dita eseguire le note di questi semplici figure. In ciascuna mano vengono utilizzate soltanto l’indice, il medio e l’anulare!

Alla fine del Medioevo l’organo presentava spesso dei tasti che venivano abbassati più dal pugno che dalle dita (si veda l’illustrazione qui sotto, che si trova nel trattato Syntagma musicum di Michael Praetorius). Le dita più forti, le dita centrali della mano indicate dal manoscritto di Praga, rappresentano il passaggio successivo al suonare col pugno. Il suonare con il pugno chiuso è una tradizione che è sopravvissuta nei suonatori di carillon delle torri campanarie del nord Europa.

Fra la fine Quattrocento e l’inizio Cinquecento nell’aerea della Germania del sud e lungo l’arco settentrionale delle Alpi si sviluppa una cultura organistica raffinata. Di quest’arte ci sono arrivate molte testimonianze: il Buxheimer Orgelbuch, la musica di Conrad Paumann,  di Arnolt Schlick, di Paul Hofhaimer e dei suoi numerosi allievi.

Ma come era eseguita questa musica? Qualche risposta la troviamo nel trattato di Arnolt Schlick, Spiegel der Orgelmacher und Organisten (1511) ma soprattutto nel Fundamentum di Hans Buchner, un manoscritto conservato all’università di Basilea.

Il Fundamentum di Hans Buchner

Hans Buchner, conosciuto anche come Hans von Constanz (Ravensburg, 26 ottobre 1483 – Costanza o Überlingen?, 1538), apparteneva ad una famiglia di organisti e organari. Studiò musica con Paul Hofhaimer, presso cui visse per circa due o tre anni. Fu organista della corte imperiale sostituendo il suo maestro, detentore dell’incarico, mentre questi lavorava a Passau. Nominato quindi alla cattedrale di Costanza, dal 1506 fu organista anche a Basilea, ottenendo l’incarico vitalizio dal 1512. Dal 1526 si trasferì a Überlingen, a causa della Riforma protestante che aveva raggiunto Costanza. Trascorse gli anni successivi in relativa povertà. Tra i suoi allievi divennero noti suo figlio Hans Konrad Buchner e Fridolin Sicher, organista della chiesa collegiata di San Gallo. Molta della sua musica è legata alla liturgia e quindi alla prassi dell’alternatim con il canto gregoriano, ma non mancano composizioni profane.

L’insegnamento di Buchner sull’uso delle dita è una vera e propria finestra aperta sullo stile esecutivo del passato. Egli ci dà una serie precisa di regole per l’esecuzione di figurazioni veloci e per gli intervalli; a conclusione delle sue regole Buchner allega, quale esempio, una composizione a tre voci interamente diteggiata. Si tratta dell’elaborazione dell’inno gregoriano Quem terra pontus, con il canto fermo nella voce superiore.

La fonte originale usa la notazione alfabetica tedesca antica (la voce superiore in notazione mensurale, le altre due voci in notazione alfabetica):

Ecco un’edizione moderna:

 

Se proviamo ad eseguire questo brano con la diteggiatura dell’autore notiamo alcune regole:

le note suonate contemporaneamente da una mano sono: Terze (suonate con secondo e quarto dito); Quinte e Seste (con secondo e quinto dito); Ottave (con primo e quinto dito). L’esecuzione di due voci con la stessa mano e le rispettive diteggiature sono le regole 6, 7 e 8 del Fundamentum; queste regole vengono applicate rigorosamente in tutto il brano.

le diminuzioni ornamentali non sono, come avverrà più tardi nel Rinascimento, lunghe successioni di note veloci bensì si limitano a gruppi di quattro note, eseguiti in maniera assai articolata ( come è chiaro dalla diteggiatura della figura in battuta 8).

Le note più veloci si eseguono alternano il secondo dito e il terzo dito, cadendo il secondo dito nel valore metrico accentato. Quando una mano deve eseguire due voci contemporaneamente, la voce che si muove ha la precedenza e le note lunghe sono tenute assai meno del loro valore: a volte sono solo toccate ed immediatamente lasciate andare. Si veda ad esempio la mano sinistra a battuta 5.

Se suoniamo con il presupposto di tenere le note per tutto il loro valore, quando questo è possibile, ne risulta una grande disomogeneità delle linee melodiche: a volte possiamo infatti tenere le note per l’intero valore, a volte siamo costretti ad accorciarle molto. A mio parere le voci diventano lineari solo e se le note sono sempre suonate relativamente corte, anche quando sarebbe possibile tenerle fino alla fine del loro valore!

Suonando così, risulta un quadro sonoro particolare ma che ha un senso musicale compiuto,  simile all’esecuzione di un suonatore di liuto più che a quello che per noi è la tipica esecuzione organistica, con note lunghe e tenute; le note di maggior valore infatti non sono definite nella loro durata e fanno spazio alle note piccole che si muovono. Sarà allora la nostra mente a ricostruire la linearità delle voci.

Ma un suonare così separato non era percepito come troppo interrotto e singhiozzante?

Penso di no, soprattutto alla luce di tre considerazioni:

  1. Nel Quattrocento e nel Cinquecento le grandi architetture gotiche, dove erano collocati gli strumenti, erano ambienti con una lunga risonanza dove era necessario separare i suoni e pronunciare bene ogni singola nota.
  2. Quasi tutti gli organisti dell’epoca erano anche liutisti. La raccolta del 1511 di Arnolt Schlick è, ad esempio, intitolata  Tabulaturen etlicher lobgesang und lidlein uff die orgeln un lauten (Intavolature di diversi inni e canti per organi e liuti). Si veda anche come Hans Buchner indica l’esecuzione del mordente: il secondo e il terzo dito colpiscono insieme i tasti e mentre il terzo dito tiene la nota, il secondo dito – tremebundus more – ribatte velocemente la nota inferiore; un ornamento testimoniato anche dal trattato spagnolo Arte de tener Fantasia (1565), di Tomas de Santa Maria. un ornamento apparentemente molto strano ma che ricalca il gesto tecnico che i liutisti usano per eseguire un trillo: due dita premono insieme i tasti ma solo una si muove velocemente.
  3. L’ultima considerazione riguarda gli organi dell’epoca: le tastiere erano con tasti molto grandi, dove poteva essere difficile raggiungere l’ottava con la stessa mano (si veda il trattato Arnolt Schlick, Spiegel der Orgelmacher und Organisten); il sistema di alimentazione era relativamente primitivo e un suonare troppo tenuto avrebbe messo in rilievo il “vento” molto instabile (si vedano i due mantici che alimentano l’organo che adorna il frontespizio della stampa di Schlick).

Allo stesso tempo le sonorità intense e sgargianti ben si prestavano ad un’esecuzione chiara e scandita. Gli organi di Rysum e della Chiesa di corte di Innsbruck ci danno un immagine di questi strumenti.

Organo Ebert (1555) della Chiesa di corte di Innsbruck

 

Alla luce del Fundamentum di Buchner possiamop meglio interpretare l’indicazione di Arnolt Schlick, che ci dice di eseguire la sua composizione Ascendo ad Patrem meuma 10 voci, con quattro voci al pedale. Anche in questa pagina musicale  ogni accordo era in realtà semplicemente toccato; non vi era certo l’idea di connettere una nota alla seguente bensì fra ogni accordo avveniva un largo silenzio di articolazione. Solo in questa maniera diviene possibile l’esecuzione!

 

Non abbiamo purtroppo molte informazioni sulla musica organistica del Quattrocento e del primo Cinquecento nel resto d’Europa. Probabilmente la tecnica di esecuzione di Buchner aveva punti in comune con la tecnica di altre aeree geografiche. Un’articolazione pronunciata ben si adatta alle composizioni del Buxheimer Orgelbuch; forse anche la musica di autori come Marcantonio Cavazzoni o John Redford  veniva suonata con un atteggiamento molto poco aderente alla tastiera e con ampi silenzi di articolazione.

L’alternanza del secondo e terzo dito rimarrà a lungo, come tratto arcaico, anche in scuole posteriori (ad esempio questa diteggiatura è indicata per le scale della mano sinistra nel trattato Il Transilvano di Girolamo Diruta, Venezia 1593)….. ma di questo parleremo affrontando le diteggiature del Rinascimento.