Nicolaus Bruhns: Praeludium in sol maggiore

Fra i brani più eseguiti e più noti del repertorio del barocco tedesco vi è sicuramente il Praeludium in sol maggiore di Nicolaus Bruhns.

 

Fonti

Il Praeludium in sol maggiore è stato copiato da Johann Christoph Bach nel manoscritto Möller (Biblioteca di Berlino, Mus. ms. 40644) col titolo Praeludium in G h Pedaliter Sigre N Bruhns.   La notazione usata è quella alfabetica (intavolatura tedesca). Il manoscritto si ferma però alla batt. 23: il brano rimane, in questa fonte, un frammento.

Fortunatamente, una versione completa si conserva nella biblioteca del conservatorio reale di musica di Bruxelles; il manoscritto (Ms. U 26659/Wagener) fu redatto da Johann Friederich Agricola (1720-1774), un allievo di Johann Sebastian Bach. In questo mansocritto è particolare l’uso dell’inchiostro rosso per la parte del pedale; il colore rosso consente, nella prima fuga, di individuare con facilità quali note suonare sulla pedaliera nella sezione a doppio pedale. In questo mansocritto il Praeludium è seguito da un’altra composizione di Bruhns, la Fantasia sul corale Nun komm der Heiden Heiland.

Quattro ulteriori copie del Praeludium in sol si trovano nella biblioteca di Berlino ma, essendo tutte derivate dal manoscritto di Agricola, sono considerate fonti secondarie.

Considerazioni generali

Non sappiamo con certezza in che contesto venissero eseguiti i grandi Praeludia per organo nella Germania del Nord; forse si trattava di composizioni con una destinazione concertistica. Sappiamo che, ad esempio, a Lubecca e ad Amburgo era viva la tradizione di eseguire musica anche al di fuori del servizio liturgico. Il Praeludium in sol maggiore presenta un carattere festoso e virtuosistico.

 

 

La composizione si articola in cinque sezioni, per le quali useremo i nomi presi a prestito dalla retorica: exordium, narratio, confutatio, confirmatio, peroratio.

Exordium

I sezione (batt. 1-40)
Tutta la parte iniziale è pervasa dalla scala e dall’arpeggio di sol maggiore:

E’ interessante notare che questi due elementi ritorneranno più avanti nel corso della composizione:

Questo riutilizzo del medesimo materiale musicale nel corso del brano e l’impiego dello stesso soggetto per le due fughe, presenti al suo interno, conferiscono particolare organicità alla composizione.

Nella sezione iniziale la contrapposizione fra pedale e manuale – o manuali, considerato che la scrittura ad episodi ben si presta a dei cambi di tastiera – costituisce l’elemento di maggior coinvolgimento per l’ascoltatore. La sorpresa nell’avvicendarsi di sonorità differenti ben sottolinea il carattere emozionale dell’exordium, prima di lasciar posto alla razionalità del contrappunto della narratio seguente (cioè della prima fuga).

Una delle caratteristiche di tutto il brano è l’uso virtuosistico del pedale, con numerosi “a soli” (in particolare quelli di batt. 83-90 e di batt. 157- 158) ed una fuga trattata con pedale doppio obbligato.

Narratio

II sezione (batt .40-79)

Il tema della fuga si presenta in note ripercosse. Questa è una caratteristica che ritroviamo nella Canzona italiana del Rinascimento e del Barocco e che rimane una costante nelle Canzoni della Germania del nord, con sovente impiego anche all’interno dei più estesi Praeludia.

Il soggetto di Bruhns presenta un organizzazione interna interessante: se ridotto in note tenute è costruito infatti con un’accelerazione di valori.

Questo elegante dettaglio può essere forse evidenziato con un’ interpretazione che accentui il cambiamento di nota:

Suonare i temi di canzona con un’accentuazione viva e marcata è una tradizione che nel Seicento trova molte testimonianze. Si veda, ad esempio, Giovan Battista Fasolo nella prefazione al suo Annuale (Venezia 1645): “Le Canzoni sono di natura allegre, (…) faccino godere li soggetti distinguendoli dalle fughe, con percuotere il tasto di polso battendolo, acciò spicchi”.

La fuga rimane saldamente ancorata alla tonalità di sol maggiore (con i soggetti solo in tonica e dominante) ed utilizza ben 6 voci, con una serie ininterrotta di esposizioni del soggetto. La difficoltà tecnica, in rapporto ad altre composizioni a 6 voci, non è data dalla densità polifonica bensì dall’uso del doppio pedale.

A partire da batt. 75 il tessuto polifonico va perdendosi: pedale e manuale dialogano in un contrasto che dobbiamo immaginare anche “architettonico” (la diversa collocazione nell’organo dei registri del pedale crea una spazialità che ricorda la policoralità).

Confutatio

III sezione (batt. 80-100)

Questa parte è composta da sezioni contrastanti:

dapprima un breve inciso (in cui riconosciamo la triade e la scala discendente di sol maggiore che avevano caratterizzato la sezione iniziale);

un lungo a solo di pedale modulante a mi minore;

due battute cariche di ornamenti (batt. 91-92);

una lunga progressione (batt. 93 -100) conclude la sezione, riportando il brano nella tonalità di sol maggiore.

La scrittura musicale degli a solo di pedale è condizionata dalla tecnica dell’alternanza dei piedi, tecnica praticata dagli organisti tedeschi, Bruhns e Bach compresi, e ancora in auge fino a tutto il XIX secolo. Sebbene all’inizio del Cinquecento Arnolt Schlick ci testimoni già l’uso del tallone, affermando di eseguire la sua composizione a 10 voci Ascendo ad Patrem meum  con ben 4 voci affidate al pedale, ad un esame più attento ci si accorge che l’uso del tallone è limitato a premere con lo stesso piede dei bicordi. Un uso assai lontano dalla tecnica novecentesca che utilizza l’articolazione della caviglia. Per le scale e i passaggi veloci lo stesso Schlick, nel trattato Spiegel der Orgelmacher (1511) chiede agli organari di costruire tasti della pedaliera sufficientemente lunghi, per poter incrociare le gambe, usando quindi l’alternanza delle punte.

Fino al XIX secolo le pedaliere continuano ad essere costruite con un internamento minimo nella consolle, collocazione che rende assai problematico l’uso del tallone. La prima testimonianza in cui viene espressamente menzionato l’uso del tallone è del 1767: nel suo metodo Anleitung zur Praktischen Musik, Johann Samuel Petri ci informa su come sia necessario per l’organista saper imitare con il pedale il violoncello e il contrabbasso dell’orchestra, suonando quindi anche note veloci talvolta legate ed usando per questo, oltre all’alternanza delle punte, anche i talloni. Sarà l’estetica del legato dunque a spingere verso questa tecnica, che troverà il suo apogeo con i grandi virtuosi del ventesimo secolo (Duprè, Germani).

Nel barocco tedesco, ed in particolare alla scuola sviluppatasi intorno ad Amburgo e Lubecca, è evidente come la tecnica in uso sia stata quella dell’alternanza delle punte. I temi delle fughe sembrano composti “sulla pedaliera”:

 

La stessa considerazione possiamo farla per i grandi a solo di pedale:

 

Ritorniamo ora al solo del Praeludium in sol maggiore di Bruhns (batt. 83-90) ed in particolare alle due battute conclusive:

L’esecuzione con le sole punte è certo tecnicamente più difficile rispetto ad un’esecuzione con l’impiego del tacco e della punta; il risultato è però un andamento più drammatico e movimentato. Un passaggio analogo verrà utilizzato da Bach nel Praeludium in mi maggiore BWV 566:

E’ curioso come proprio in questa composizione si incontri un particolare che ci dimostra come la tecnica di Bach fosse l’alternanza dei piedi e non l’utilizzo del tacco-punta: in questa composizione il tema della fuga, quando proposto al pedale, viene alterato, per permettere un’esecuzione con le sole punte:

 

Imitatio violistica

Alle battute 93-100 del Praeludium di Bruhns, incontriamo dei segni di legatura; si tratta dell’unico caso in tutta l’opera organistica di Bruhns. Ci troviamo di fronte ad uno dei pochi esempi che realizzano l’effetto descritto da Samuel Scheidt nel 1624:

“Dove le note – come qui sopra – sono unite insieme trattasi di un modo speciale, simile a quando i violisti legano con l’arco. Questa maniera non è disdegnata dai migliori violisti tedeschi e così anche a me è piaciuta e l’ho usata, risultandone un piacevole concerto su organi, regali, clavicembali e altri strumenti dal tocco leggero.”

dalla prefazione della Tabulatura nova di S. Scheidt (1624)

Sarà quindi importante, sia nella scelta della registrazione che nel controllo dell’articolazione, avere come modello l’esecuzione del passaggio, come fosse suonato sulla viola e sul violino. Forse possiamo chiedere ad un collega violinista di suonarlo, per poterlo poi ben imitare.

 

Confirmatio

IV sezione (batt. 101-157)

Una grande fuga a cinque voci rielabora, in tempo ternario, lo stesso tema  utilizzato per la prima fuga. In questo modo la sezione assume decisamente il carattere di confirmatio (“riproporre in maniera ancora più convincente quanto affermato precedentemente”).

La struttura di questa seconda fuga è la seguente:
batt. 101-123: esposizione (Tenore I, Tenore II, Soprano, Alto, Basso).

L’ultima battuta del tema al pedale viene allargata in un piccolo episodio e conduce ad un’importante cadenza a sol (batt. 123-124). Il disegno qui si prodotto è simile alla figurazione di batt. 18 e seguenti, creando così un interessante richiamo fra le differenti sezioni della composizione.

batt. 124-146: seconda esposizione (Tenore I, Alto, Basso, Tenore II, Soprano), seguita da tre battute che conducono verso una nuova cadenza alla tonica.

Arrivati a  batt. 146 ogni singola voce ha presentato il soggetto sia come dux che come comes. La fuga procede con gli stretti e si conclude su di un pedale di dominante.

Proporzioni di tempo

Una questione interpretativa assai discussa è se nei Praeludia della Germania settentrionale debba esserci, fra tempo binario e ternario, una “proporzione”. Le segnature di tempo 3/2 e 3/1 indicano, nelle convenzioni di notazioni attuali, che in una battuta devono essere contenute tre minime o tre semibrevi. Nel Rinascimento il significato di questi segni era diverso: essi indicavano una corrispondenza, una proporzione; si dovevano collocare tre note nella durata precedentemente occupata da due note dello stesso valore (3/2: proportio sesquialtera) o da una sola nota della stesso valore (3/1: proportio tripla). Queste semplici regole, applicate nella musica rinascimentale, quasi sempre conducono a risultati musicali convincenti, sebbene all’epoca alcuni teorici si lamentassero che nella pratica vi fosse spesso confusione al riguardo.

Girolamo Frescobaldi utilizza ancora nel suo Libro di Capricci (1626) il complicato sistema di notazione mensurale dando però, nella prefazione, il seguente avvertimento:

“…Si deveno i principii cominciarli adagio e dar maggior spirito e vaghezza al seguente passo, e nelle trippole, ò sesquialtere, se saranno maggiori, si portino adagio, se minori alquanto più allegre, se di tre semiminime più allegre, se saranno sei per quattro si dia il lor tempo con far caminare la battuta allegra…”.

Così dicendo ci rivela come le differenti notazioni dei tempi ternari agli albori del barocco non hanno più una funzione di rapporto aritmetico con un’unità fissa di tempo, bensì tendono a suggerire in maniera ben più empirica differenti velocità. Per tutto il Seicento convivono, in realtà, l’eredità dell’antica tradizione rinascimentale e le nuove tendenze del barocco, assai più elastiche e irregolari.

E’ interessante notare come non vi sia nessuna fonte dell’epoca di Buxtehude e di Bach che parli di proporzioni dei tempi. Nonostante questa mancanza assoluta di riferimenti oggettivi, spesso gli interpreti di oggi inseguono strenuamente l’unità di tempo in una composizione in più sezioni di Buxtehude, o dogmatizzano la continuità metronomica fra un preludio e fuga di Bach.

Senza nulla togliere alla validità di sensazioni soggettive per cui un tempo può apparire “giusto” o “sbagliato” ci troviamo di fronte ad un anacronismo interpretativo che persegue un concetto tipicamente rinascimentale – la stabilità del tactus – in musica assai più tarda. Sarà dunque una scelta ideologica voler ad ogni costo ricondurre ad un’unità fissa di tempo la musica di Bruhns, Buxtehude o Bach, anche se non si può negare la possibilità che in alcuni casi l’applicare le antiche proporzioni dia dei risultati musicalmente soddisfacenti. Non è da escludere che le antiche tradizioni rinascimentali abbiano continuato a vivere nella prassi quotidiana, pur senza trovare alcuna codificazione teorica.

Seguono, a titolo di esempio, alcune composizioni di Buxtehude dove l’applicazione della proportio sesquialtera risulta musicalmente convincente:

 

 

Buxtehude utilizza invece, più volte, un altro tipo di proporzione, non certo riconducibile alla teoria rinascimentale. Nei due esempi seguenti inequivocabilmente le semicrome del C corrispondono alle crome del 3/2, vale a dire nel C viene semplicemente raddoppiata la durata reale delle note.

Se adottiamo la stessa soluzione per il Praludium in sol di Bruhns, dove appunto ricorrono 3/2 e C avremo la corrispondenza fra le crome della prima fuga e le semiminime della seconda. In questo modo, la varietà fra le due fughe risulterà semplicemente dalla diversa accentuazione della battuta.

 

Peroratio

V sezione (batt. 158 al fine)

Un ultimo a solo di pedale apre quest’ultima sezione. Una serie di figure retoriche (exageratio, repetitio, congerie) vivacizzano questo finale:

Il do# dell’ultima battuta (V grado alterato), nota inconsueta per l’ascoltatore moderno, è un’alterazione che troviamo anche in alcune composizioni di Buxtehude e di Bach:

Il do# grave nel pedale a batt. 162, nota non presente negli organi della Germania del nord, è spiegabile, secondo alcuni musicologi,  anche con il fatto che i Praeludia venivano scritti soprattutto per una ragione didattica: le lezioni venivano tenute, più che sugli organi, sui clavicembali o sui clavicordi con pedaliera.

E’ difficile ipotizzare un testo musicalmente convincente, per l’esecuzione su un organo dell’epoca che non abbia il il do# grave.

Registrazioni

Quasi sempre una composizione che include dei grandi “a solo” di pedale richiede una sonorità di ripieno, dove al pedale vengono aggiunte le ance gravi (si veda in proposito una volta di più gli scritti di Mattheson).

Nella sezione introduttiva del Praeludium in sol maggiore l’alternanza di due o tre manuali contrapposti, con i diversi ripieni, garantisce a nostro avviso sia la continuità che il contrasto fra le varie figurazioni musicali.

Nella prima fuga è essenziale, perché l’ascoltatore possa cogliere il virtuosismo del doppio pedale, una differenza timbrica fra manuale e pedale (ad esempio ance contrapposte a registri labiali). E’ meglio escludere il 16′ al Pedale, vista la presenza di bicordi nella regione grave, che risulterebbero sgradevoli.

La scaletta di batt. 79, viene spesso eseguita, come un eco, al manuale: si noti però che in molti strumenti nordici il fa# grave era presente solo al pedale.

Il solo di pedale di batt. 83 sembra richiamare una sonorità forte ed estroversa; a batt. 93 l‘imitatio violistica sembra invece volere una registrazione delicata, che ricordi le sonorità della viola, ed in cui l’articolazione raffinata sia intelleggibile. Ma dove cambiare? A nostro parere una possibilità è a batt. 90, dove il do grave interrompe il movimento e sorprende l’ascoltatore introducendo una nuova armonia:

Fra la seconda fuga, sospesa in dominante, ed il finale vi è una continuità che non permette un eccessivo cambio di sonorità. Per poter terminare la composizione con sonorità grande sarà quindi necessario che già la seconda fuga sia eseguita con sonorità abbastanza forti.

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Vi lascio, dopo questa lunga analisi del Praeludium in sol maggiore, all’ascolto di una cantata di Nicolaus Bruhns. Un repertorio poco frequentato ma bellissimo.