Nell’ottobre del 1738 l’editore londinese John Walsh pubblicava una raccolta dal titolo Six Concertos for the Harpsichord or Organ by Mr. Handel Opus 4. La pubblicazione avveniva sulla scia del grande successo e della popolarità acquisita da queste composizioni. Handel le aveva scritte a partire dalla primavera del 1735, eseguendole quali intermezzi durante l’esecuzione dei suoi grandi oratori. La novità di questi concerti aveva permesso ad Handel di competere con la stagione concorrente dell’Opera of the Nobility, che offriva al pubblico londinese grandi solisti di canto, fra cui il celebre Farinelli. Handel, non riuscendo ad ingaggiare cantanti della stessa levatura, aveva usato la sua fama di organista ed improvvisatore come attrazione per richiamare il pubblico.
I concerti riprendevano lo stile e la struttura del concerto grosso corelliano, assai di moda nella Londra di inizio Settecento; il “concertino”, costituito nei concerti di Corelli da due violini e violoncello, veniva ora affidato all’organo solo. Handel, forzato dagli eventi a comporre in tempi strettissimi, riutilizzò a piene mani materiale musicale precedentemente composto (sonate in trio e sonate per strumento solista) e spesso non scrisse neppure i soli per l’organo, lasciandoli alla sua libera improvvisazione. L’orchestra era la stessa che accompagnava i suoi oratori e comprendeva archi, oboi, fagotti e basso continuo.
Handel aveva già utilizzato l’organo solista, sebbene in ruoli più contenuti, in due pagine scritte a Roma nel 1707: nel Salve Regina e nella Sonata iniziale dell’oratorio Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, ma il ruolo dell’organo in questi concerti londinesi, che volevano mettere in evidenza l’Handel virtuoso della tastiera, era assai più preminente.
Il virtuoso improvvisatore
Il catalogo handeliano è povero di composizioni dedicate al solo organo: ulteriore segno che la fama di Handel-organista era basata ancor prima sulle sue qualità di improvvisatore che su quelle di compositore.
Così ci racconta, nelle sue memorie il Conte di Shaftesbury:
“In una delle grandi città delle Fiandre, dove [Handel] aveva chiesto il permesso di suonare all’organista, quest’ultimo lo assisteva, non sapendo chi fosse, e sembrava sbalordito dal modo di suonare del Sig. Handel, quando questi iniziò. Ma quando sentì il Sig. Handel improvvisare una fuga, corse verso di lui in tutta ammirazione e lo abbracciò dicendogli ‘Lei non può essere altro che il grande Handel’”.
Numerosi altri aneddoti ci descrivono la sua abilità alla tastiera; nelle “Memorie della vita del fu G.F. Handel” di John Mainwaring, scritte poco dopo la morte del compositore, si può leggere:
“….(Handel) era deciso a visitare ogni parte dell’Italia che andasse famosa per le esecuzioni musicali. La prima tappa fu Venezia, dove fu scoperto ad una mascherata, mentre, anche lui in maschera, suonava il cembalo. Capitò fosse presente Domenico Scarlatti, il quale affermò che non poteva trattarsi che del famoso Sassone, oppure del diavolo in persona.”
e in altro passo:
“… Scarlatti, tutte le volte che lo si ammirava per la sua gran bravura di esecutore, nominava Handel e si faceva il segno della croce per dimostrare la sua venerazione”.
Le fonti
Walsh pubblicò nel 1738 dapprima la parte d’organo dei sei concerti op. IV e solo qualche mese più tardi le parti separate per l’orchestra. La parte d’organo si presenta in una notazione ingegnosa, includendo una sorta di riduzione della partitura orchestrale. Nella musica appaiono le indicazioni Organo solo, Tutti, senza Organo e, quando l’orchestra suona, l’organista esegue con la mano sinistra il basso e con la destra la parte dei primi violini. Questa scrittura permette all’organista di usare la parte sia come solista, quando accompagnato dall’orchestra, sia di eseguire i concerti da solo, in una sorta di “riduzione”.
L’anno dopo Walsh stampò un Second Set di sei concerti, ma solo per due di questi seguì la pubblicazione delle parti strumentali. I quattro concerti che rimasero senza parti orchestrali sono in realtà semplici adattamenti di composizioni tratte dai Concerti grossi op. VI. La musicologia tende a giudicare l’arrangiamento non come opera di Handel, bensì dell’intelligente tipografo a caccia di nuovi successi editoriali. Charles Burney (1726-1814), dilettante di musica e autore di numerosi scritti, ci testimonia come i concerti di Handel risuonassero in ogni salotto londinese dove vi fosse uno strumento a tastiera. In questo Second set, accanto ad alcune pagine realmente concepite per un’esecuzione con orchestra e organo, ve ne sono dunque altre che si limitavano ad arricchire il repertorio dei dilettanti di musica londinesi, dove lo strumento a tastiera realizzava la partitura di un concerto grosso.
Un’ultima serie di sei concerti fu pubblicata postuma quale op. VII; simile alla raccolta dell’op. IV, vi regna però un certo disordine: alcuni fra i concerti furono infatti assemblati da Johan Christopher Smith, allievo e copista di Handel, unendo una serie di movimenti di diversa origine. Molti fra i “soli” per l’organo dell’op. VII non sono scritti per esteso, e probabilmente non furono neppure mai messi sulla carta da Handel. Così ci racconta Charles Burney:
“Durante la stagione degli oratorî, mi hanno detto che [Handel] studiava quasi senza sosta: e sicuramente questo avenne, oppure la sua memoria era incredibilmente forte, perché sebbene diventato cieco, eseguì ancora numerosi dei suoi vecchi concerti per organo, che dovevano quindi essere impressi nella sua memoria attraverso l’esercizio. Tuttavia, alla fine scelse di fidarsi piuttosto delle sue doti d’invenzione che della memoria e suonò tutti gli episodi solistici improvvisando, avendo lasciato all’orchestra poco più che uno schema dei ritornelli d’ogni movimento; e tutti gli strumentisti attendevano ad libitum, aspettando pazientemente un qualche segno od un trillo prima di riattaccare i frammenti di sinfonia che vedevano sulle loro parti”.
Accanto alle edizioni a stampa si conservano molte delle partiture autografe (fra cui due ulteriori concerti, HWV 304 e 305). Questi manoscritti ci forniscono alcune indicazioni supplementari (legature, segni d’articolazione o, in un caso, anche i registri utilizzati) ma soprattutto, con la loro scrittura stenografica e a volte contradditoria, ci testimoniano la velocità di Handel nel comporre e del suo continuo rielaborare le composizioni.
L’organo
Non sappiamo con certezza quale organo Handel avesse a disposizione nei teatri dove eseguì i suoi concerti, ma possiamo ricostruirne alcune caratteristiche da fonti secondarie. Gli strumenti da teatro non erano di grandi dimensioni, sebbene il primo concerto dell’op. VII richieda l’uso di due tastiere e – cosa assai insolita per la tradizione inglese – la presenza di una pedaliera.
Una lettera scritta da Handel in risposta al suo amico e librettista Charles Jennes, il quale lo aveva interpellato per la costruzione di un organo da teatro in una villa di campagna, è forse il documento più prezioso per conoscere il modello di organo “ideale” per i concerti:
a Charles Jennens
Signore, Ieri ho ricevuto la Sua lettera, in risposta alla quale qui sotto specifico la mia opinione su un organo che penso risponderà ai fini da Lei proposti, essendovi ogni cosa necessaria per un buon e grande organo, senza registri ad ancia, registri che ho tralasciato perchè sempre bisognosi di essere accordati, il che in campagna è assai scomodo e alla fine non utilizzabili a meno di grande spesa, sebbene questo possa da Lei essere considerato non importante. (…) La disposizione dell’organo che vi consiglio è:
l’estensione sia in alto fino al re e nel grave fino al sol gravissimo, ottava stesa, come nelle chiese.
Una tastiera, registri interi e nessun registro spezzato.
Registri:
Open Diapason – interamente di metallo in facciata
Stopt Diapason – il soprano metallo e il basso di legno
Principal – interamente di metallo
Twelfth – interamente di metallo
Fifteenth – interamente di metallo
Great tierce – interamente di metallo
Un registro di Flute – simile a quello dell’organo Freeman.
Sono lieto dell’opportunità di mostrarLe la mia attenzione, augurandoLe ogni salute e felicità. Rimango con grande sincerità e rispetto, signore, il Vs. obbediente e umilissimo servitore
Georg Frideric Handel
Londra, 30 Settembre 1749
Qui di seguito la disposizione in dicitura italiana: Principale, Bordone, Ottava, Duodecima, Decimaquinta, Terza, Flauto (4’). Tutti i registri, tranne i bassi del Bordone, sono in metallo.
Nel manoscritto del secondo movimento del Concerto in fa maggiore op. IV n. 4 troviamo una preziosa indicazione di registrazione: “Open diapason, stopt diapason & flute”. Registrazioni simili si trovano anche nella parte di organo dell’oratorio Alexander’s Feast, con il prevalere di combinazioni di registri di 8’ e 4’. Possiamo dedurne l’importanza, nella disposizione fonica, di un Principale di otto piedi, nonostante la tradizione oggi diffusa di eseguire questi concerti con dei piccoli organi a cassapanca, con un suono tagliente ed acuto. Con una solida base di 8’ è ben maggiore l’amalgama fra l’orchestra e organo.
Solo alla luce di una chiara scelta timbrica si può affrontare il difficile problema di quanto l’organista sia tenuto a raddoppiare le parti dell’orchestra e/o a realizzare l’armonia. L’atteggiamento di Handel era quello del direttore alla tastiera: col raddoppio guidava gli strumentisti ed in ogni momento aveva una visione precisa della struttura armonica e della dinamica della composizione. Per una vera interpretazione filologica è necessario il recupero di questa prassi autentica del dirigere alla tastiera, dove l’interazione fra suonare, comporre ed improvvisare è ben diversa dall’atteggiamento romantico del direttore, che non partecipa alla produzione di suono e che decide a tavolino l’interpretazione.