Anno 1630. Musica al tempo della peste

Esplorando capolavori inediti della musica milanese

Settimana prossima eseguirò, con il mio gruppo La Divina Armonia, un programma dedicato alla musica a Milano composta intorno al 1630, anno della grande peste. Suoneremo a Milano, nella basilica di  San Simpliciano, e all’Oster Festival di Hall, vicino ad Innsbruck.

L’idea del programma, la devo ad un ascoltatore attento e colto. Nel maggio del 2019, al termine di un concerto sullo splendido organo rinascimentale di Valvasone,  eseguimmo un mottetto di Michelangelo Grancini. Subito dopo il concerto, un signore del pubblico mi fece notare come la musica di Grancini fosse la musica che risuonava nelle chiese milanesi al tempo della visita di Renzo Tramaglino (chiaramente il riferimento è ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni, con la sua vivida descrizione della Milano seicentesca e con la narrazione della terribile peste). Il concerto era nel 2019 e non sapevo che stesse per scoppiare  la «nostra» pandemia: questa osservazione mi fece comunque nascere il desiderio di allestire un programma che desse voce alla Milano manzoniana o meglio alla Milano degli anni intorno alla grande peste.

Il libro di Robert Kendrick, the Sounds of Milan, è stato una guida preziosa guida nella compilazione del programma. Sebbene la musica milanese sia stato uno dei miei campi di ricerca e abbia sugli scaffali di casa numerose fotocopie e microfilm di brani milanese inediti, il collega Daniele Torelli è stata un preziosissimo aiuto nella ricerca e nella trascrizione di musica che giace negli archivi, inedita e silente da secoli.

Anno 1630

La peste del 1630 colpì duramente Milano: probabilmente in quell’anno morì circa un quarto della popolazione. Molti sono i musicisti di cui, negli archivi, si perdono improvvisamente le tracce proprio in quell’anno e che senza dubbio caddero vittima del contagio: Vincenzo Pellegrini, maestro di cappella del Duomo; Giovan Paolo Cima, maestro di cappella e organista del Santuario di Santa Maria presso San Celso. Due terzi dei cantori del Duomo erano morti nel 1630: si può quindi immaginare in che stato fosse ridotta la musica dopo il contagio. Eppure la ricerca mi ha dato modo di incontrare dei veri capolavori, ancora inediti.

 

Federico Borromeo, Sigismondo d’India, Aquilino Coppini

La figura del Cardinal Federico Borromeo domina i Promessi sposi. Studiando la scena culturale della Milano di quegli anni ci si rende conto dell’importanza del suo ruolo. La Biblioteca e la Pinacoteca ambrosiana nascono in quegli anni per opera sua. Federico non tralascia neppure la musica: si intromette nelle nomine dei musicisti in Duomo, di competenza della Fabbriceria, e a lui sono dedicate alcune raccolte di musica, edite in quegli anni. Fra tutte spiccano i mottetti di Sigismondo d’India, del 1627. Questo musicista  è oggi conosciuto come uno dei più importanti autori di madrigali profani, nel nuovo stile di Caccini e Monteverdi. La raccolta del Liber Primus Moctetorum, ultima opera che il compositore diede alle stampe, è invece ampiamente misconosciuta pur contenendo dei capolavori polifonici in uno stile fortemente personale. Sigismondo, nobile palermitano, ma attivo a Torino alla corte dei Savoia, dedicò, come detto, la raccolta al cardinale milanese. I mottetti combinano una austerità di scrittura a una ricerca espressiva inedita, con un sapiente uso delle dissonanze.

Aquilino Coppini, un retore amante della musica di Monteverdi, fu amico personale del cardinale Federico. Coppini  pubblicò a Milano alcuni madrigali di Monteverdi, travestendoli però con un testo sacro, sapientemente confezionato sulla musica preesistente. In tal modo riuscì ad introdurre nella metropoli lombarda, così carica di quella temperie mistica e passionale della controriforma, la musica moderna ed espressiva, che andava imponendosi nelle corti italiane. A Milano la musica era coltivata nei monasteri femminili, che divennero ben presto l’attrazione musicale principale per i visitatori della metropoli. Fondamentale era però epurare l’elemento mondano, travestendo di sacro i madrigali monteverdiani e conservando l’austerità e la dottrina governate dal Cardinale. Coppini aveva probabilmente direttamente contatto con Monteverdi; nelle sue antologie troviamo infatti alcuni madrigali al tempo ancora inediti e che quindi Coppini doveva aver ricevuto come manoscritto.

Coppini, in una sua lettera, ci informa anche come la musica di Monteverdi necessiti qualcuno che la diriga, perché il tempo della battuta non è quello usuale e regolare, ma la velocità dell’esecuzione varia con l’espressione del testo. Anche Aquilino Coppini morì probabilmente nella grande peste.

Michelangelo Grancini

Nel 1631 Michelangelo Grancini pubblicò la raccolta Sacri fiori concertati: l’epidemia era da poco finita. In questa stampa, oggi conservata nell’Archivio della Fabbrica del Duomo milanese,  troviamo alcune composizioni che sembrano avere una relazione diretta con i tragici eventi.  Grancini è uno dei pochi compositori che, nato nei primi anni del secolo, sopravvisse alla grande peste. Nel frontespizio egli si qualifica come organista della Metropolitana (cioè del Duomo) e di Sant’Ambrogio. Nel 1650 fu promosso maestro di cappella della Cattedrale, nonostante non fosse sacerdote, requisito fino ad allora essenziale per ricoprire tale carica. Si conservano molte sue opere, per lo più musica vocale sacra per voci e basso continuo.

Tre sono le composizioni, incluse nella raccolta del 1631, che sembrano parlarci dell’epidemia:

Il  mottetto a 7 voci Civitatem nostra circunda Domine è un grande affresco sonoro in cui invoca la protezione divina sulla città, a similitudine delle grandi processioni che, sotto la guida del cardinale Borromeo, coralmente avevano invocato la misericordia divina nei momenti più tragici del contagio.

Civitatem nostra circunda Domine et angeli custodiant eam; populum ad te clamantem ad te gementem exaudi misericors. Peccavimus et supervenerunt in nos omnes tribulationes. Pius es Domine, miserere nostri dona remedium populo tuo.

Circonda o Signore la nostra città e gli angeli la custodiscano, il popolo che ti invoca e che si lamenta esaudisci misericordioso. Abbiamo peccato e ci sono arrivate tutte le tribolazioni. Sii buono Signore, abbi misericordia di noi, dona un rimedio al tuo popolo.

Nella forma del concerto sacro, il mottetto Quam vilis et quam deformis, a due voci e basso continuo, utilizza il testo di Geremia; Grancini sembra raccogliere il grido disperato della città devastata dalla peste. 

Quam vilis et quam deformis facta es filia Hierusalem. Eras ante candidior nive, nitidior lacte, pulchrior saphiro, praeciosior auro. Heu nunc facta es nigra super carbones, quia congressa es cum amatoribus multis. Quaere dilectum, fuge peccatum statim audies vocem illam dulcissimam: Quam pulchra es et quam decora et speciosa filia Hierusalem.

Quanto spregevole e quanto deforme sei diventata, figlia di Gerusalemme. Eri prima più bianca della neve, più candida del latte, più bella di uno zaffiro e più preziosa dell’oro. Ahi, ora sei più nera del carbone,perché ti sei unita a molti amanti.Chiedi del tuo diletto, fuggi il peccato e subito ascolta quella voce dolcissima: quanto sei bella e quanto magnifica e stupenda, figlia di Gerusalemme.

Il mottetto Vox exultationis, l’ultimo della raccolta, è forse una composizione di ringraziamento per la fine dell’epidemia. Anche se la conclusione del contagio fu ufficialmente decretata solo nel 1632, già l’anno prima la situazione sanitaria generale era assai migliorata: la città riprendeva vita e, nonostante l’inettitudine dei governanti spagnoli, l’economia, la cultura e la musica riprendevano il loro corso.

Vox exultationis et salutis in tabernaculis justorum. Dextera Domini fecit virtutem, dextera Domini exaltavi me. Non moriar sed vivam et narrabo opera Domini Alleluja, alleluja.

Nei tabernacoli de’ giusti non si odono che voci di allegrezza e di salvezza. La destra del Signore ha fatto meraviglie;la destra del Signore mi ha sollevato. Io non morirò, ma vivrò e racconterò le opere del Signore. Alleluia, alleluia.

Musica strumentale

E’ curioso vedere come in questa raccolta Grancini introduca, accanto alle voci, i violini. Si tratta forse di un tentativo per adeguare la musica milanese a quanto avveniva nelle altre città italiane. Ma l’arcivescovo Monti, succeduto a Federico Borromeo nel 1632, ribadì il divieto di introdurre strumenti  al di fuori dell’organo in Duomo. (qui: https://lorenzoghielmi.com/musica-sacra-a-milano-fra-sei-e-settecento/).

In altre chiese gli strumenti venivano comunque usati, a dispetto delle norme diocesane. Gio.Paolo Cima, Francesco Rognoni Taeggio, Biagio Marini: sono solo alcuni dei nomi attivi nelle chiese milanesi di cui conserviamo musica strumentale. Cima pubblicò la prima Sonata in cui il violino, strumento che andava affermandosi in quegli anni, ricopre un ruolo solista. Rognoni, appartenente ad una famiglia di musicisti, pubblicò un preziosissimo trattato, dedicato alla tecnica dell’ornamentazione. Marini, uno dei primi virtuosi di violino, nel suo continuo peregrinare per varie città, toccò più volte Milano dove si sposò e dove servì per un periodo come musico in Santa Maria della Scala, la chiesa ducale. Il suo Passacaglio è uno dei capolavori della musica del Seicento italiano. https://www.youtube.com/watch?v=68kknaL6wS0

Grancini poi ebbe fra i suoi discendenti una famiglia di liutai destinata a divenire fra le più importanti della scena lombarda.

Dies Irae, Requiem

Fra i testi che meglio si addicono ad un periodo di sofferenza e morte come quello della peste manzoniana vi sono sicuramente il Dies irae e il Requiem.

La sequenza del Dies irae non faceva neanche parte del canone liturgico ambrosiano, ma non dobbiamo lasciarci ingannare dalle apparenze: a Milano erano moltissimi i luoghi, i conventi e i monasteri, dove si officiava con il rito romano. Ecco quindi uscire dalla polvere uno stupendo Requiem a 5 voci di Giovanni Ghizzolo, frate francescano. Giovanni Ghizzolo, di origine bresciane, risiedette più volte nel grande complesso di San Francesco Grande: questa era la seconda chiesa per grandezza della Milano seicentesca e vantava una lunga tradizione musicale. Molte opere del Ghizzolo furono stampate a Milano. Il suo Requiem alterna polifonia e canto fermo, con una scrittura estremamente austera e controllata.

 

Ho provato a studiare alcune Messe da Requiem del primo Seicento milanese: uno di Ignazio Donati, divenuto maestro di cappella del Duomo subito dopo la peste è molto accademica e non mi sembrava particolarmente ben riuscita. Sarebbe stato interessante accedere ad una composizione che si conserva all’Archivio dei Gerolamini di Napoli, ma praticamente questo scrigno di tesori musicali è inaccessibile da ormai più di quarant’anni. Alla fine ho trovato di grande bellezza una “Messa da morto” di Michelangelo Grancini, conservata manoscritto nell’Archivio della Fabbriceria del Duomo milanese. Forse di qualche anno più tarda, presenta una scrittura a 5 voci che si muove in maniera estremamente attenta a non creare una scrittura troppo intricata: chiaro segno di un’attenzione alle condizioni acustiche estremamente risonanti della Cattedrale milanese. Una musica simile risuonò nel 1632 per i funerali di Federico Borromeo che, pur scampato alla peste, morì da lì a poco.

Vincenzo Pellegrini

Vincenzo Pellegrini, canonico pesarese, chiamato da Federico Borromeo in Duomo dominò la scena milanese del primo Seicento. Sembra non fosse un grande esecutore: meglio detto sembra che il suo lavoro di compositore lo distraesse dalle questioni organizzative della cappella del Duomo. Durante il suo incarico, vi furono molti casi di indisciplina: litigi fra cantori, assenze di organisti alle celebrazioni, esecuzioni non proprio riuscite. Un paio di volte rischiò il licenziamento ma la protezione del cardinale lo salvò. Di lui si conserva moltissima musica che diligentemente affidò agli archivi della cattedrale. Un piccolo “concerto sacro” a Soprano, tenore, Basso e basso continuo, edito nel 1617, ci è sembrato particolarmente adatto ad essere inserito nel programma: sia per il testo che per dare un esempio del “concerto a poche voci”, forma che in quegli anni andava imponendosi in tutte le chiese minori di Milano.

Sana me Domine et sanabor; salvum me fac et salvus ero. Quoniam laus mea tu es. Sana me Domine et sanabor.      

Risanami Signore e sarò sano; fammi salvo e avrò la salvezza. Poiché tu sei la mia lode. Risanami Signore e sarò sano.

Queste sono alcune delle composizioni che proporremo. una registrazione di questo programma sarà visibile da luglio su Early Music Television.