Johann Sebastian Bach e il pianoforte

È bene o è male?

È bene o è male suonare Bach al pianoforte, visto che alla sua epoca questo strumento non esisteva quasi? Si tradisce la sua musica rendendola più espressiva o si rende evidente un contenuto musicale ricchissimo che il clavicembalo o il clavicordo non arrivano a chiarire? Queste ed altre domande attraversano le discussioni sull’interpretazione di Bach nel mondo di oggi. Ma pochi sanno veramente quale era il rapporto di Bach con questo strumento.

Iniziamo con una celebre citazione di Johann Friedrich Agricola, studente di Bach a Lipsia fra il 1738 e il 1741:

«Il Signor Goffredo Silbermann aveva dapprima costruito due di questi strumenti, uno dei quali era stato visto e provato dal compianto Maestro di cappella il signor Giovanni Sebastiano Bach. Egli aveva apprezzato il suono da cui era stato favorevolmente impressionato: contemporaneamente 
s’era però lamentato che fosse troppo debole negli acuti e troppo pesante da suonare.

Queste critiche furono assai mal prese da Silbermann, che non accettava vi fossero difetti negli strumenti da lui costruiti. Per questo motivo per lungo tempo fu di cattivo umore con Bach; la sua coscienza gli diceva tuttavia che Bach non aveva completamente torto. Decise quindi che per il momento sarebbe stato meglio non vendere tale strumento, e ciò sia detto a suo merito; nel frattempo non smise di pensare come porre rimedio ai difetti che Bach aveva rilevato. Vi lavorò per molti anni. E che questa sia stata la causa di questo esitare non lo dubito, perché mi fu confidato dal signor Silbermann in persona.

Finalmente Silbermann, fatti questi miglioramenti in particolare nella meccanica, vendette uno strumento alla corte principesca di Rudolstadt (…). Poco dopo il Re di Prussia ordinò uno di questi strumenti, e trovatolo di suo grande gradimento, ne ordinò altri ancora. Vedendo e sentendo questi strumenti chi, come me, aveva potuto vedere uno dei primi, poté constatare con quale diligenza il signor Silbermann avesse lavorato ai miglioramenti.

Il signor Silbermann ebbe anche il lodevole orgoglio di mostrare uno degli strumenti, di nuova lavorazione al compianto maestro di capella Bach e di lasciarlo esaminare da lui, ricevendone la piena approvazione». (Berlino, 1768)

La nascita del pianoforte e legata nel nostro immaginario al periodo classico viennese, quando già da diversi decenni era strumento ben conosciuto in tutta Europa. Tra l’invenzione di Bartolomeo Cristofori (1698) e le opere di Haydn e Mozart si estende tuttavia circa mezzo secolo di storia della musica in cui il pianoforte aveva già conosciuto una vastissima diffusione in tutte le corti e case nobili d’Europa: Alessandro Marcello, da Venezia, ordinò un pianoforte a Cristofori nel 1724; Domenico Scarlatti, coetaneo di J.S.Bach, suonò sicuramente su uno dei cinque pianoforti della corte di Madrid (uno dei quali fu dato in dono dal re al celebre castrato Farinelli).

Già verso il 1730 il pianoforte venne sviluppato in Germania dall’arte di Gottfried Silbermann: egli aveva sicuramente avuto modo di conoscere la nuova invenzione italiana tramite l’importante comunità di musicisti e cantanti italiani presenti alla corte di Dresda.

Nella sua struttura il pianoforte di Silbermann (da lui chiamato Fortepiano) e infatti fondamentalmente identico agli strumenti costruiti a Firenze dal Cristofori. In più, forse perché organaro, Silbermann aggiunse al suo fortepiano una serie di «registri»: un particolarissimo registro di dulcimer (Hackbrett) e un meccanismo per sollevare gli smorzatori.

A Berlino, alla reggia di Federico il Grande, grande estimatore del pianoforte Silbermann (tanto che ne acquistò almeno sette esemplari), il pianoforte conobbe la sua prima fortuna d’oltralpe. Carl Philipp Emanuel Bach e Johann Joachim Quantz lo preferirono al cembalo come strumento d’accompagnamento, grazie alla sua capacità di sostenere anche dinamicamente il solista.

Fu proprio alla corte di Federico di Prussia che J.S.Bach suonò il nuovo fortepiano quando, nel 1747, improvvisò il Ricercare dell’Offerta musicale alla presenza del sovrano.

Copia di un fortepiano Silbermann realizzato da Andrea Restelli, Milano 1996

Altre prove documentarie testimoniano chiaramente un rapporto tra il compositore, da sempre attento alla sperimentazione musicale, ed il nuovo strumento: nel 1749 Bach ricevette un pagamento per aver venduto un fortepiano al conte polacco Branitzky, fungendo probabilmente da intermediario fra questi e Gottfried Silbermann.

Già nel giugno 1733 un articolo, pubblicato in un giornale di Lipsia, annunciava un concerto del Collegium Musicum sotto la guida di Johann Sebastian Bach, dando particolare risalto al fatto che nel concerto sarebbe stato utilizzato un nuovo clavicembalo, “un modello mai ascoltato fino ad ora”. Perifrasi simili (“clavicembalo di nuova invenzione», “clavicembalo col piano e forte”, “clavicembalo a martelletti”) designarono per tutto it XVIII secolo il pianoforte spesso chiamato semplicemente cembalo (l’equivoco dei nomi rimarrà a lungo: Farinelli chiamava cembalo Il suo fortepiano, Beethoven userà più volte l’espressione cembalo nelle sue sonate chiaramente pianistiche ed ancora Schubert indicherà la parte pianistica del suo frammento di trio D 28 col termine generico di cembalo).

Anche fra gli strumenti del lascito testamentario di J.S. Bach non possiamo escludere la presenza di un fortepiano. Tra i vari cembali, elencati nell’atto notarile, ve n’è uno intarsiato e di particolare valore che, secondo la volontà testamentaria, deve rimanere per quanto possibile presso la famiglia (fourniert Clavecin,welches beyder Familie, so viel moglich bleiben soli).

Proprio un fortepiano Silbermann, “intarsiato, con un suono impareggiabile e di voce straordinariamente forte” (ein Silbermannisches Piano et Forte, von unvergleichlichen Tone, und außerordentlichen Starke des Tones, nach Art eines Flügels gebaut, das Corpus und Decke fourniert) viene venduto da un commerciante, amico della famiglia Bach, tre anni dopo la morte della vedova Anna Magdalena.

E’ dunque forse da rivedere la convinzione comune che eseguire Bach al pianoforte non sia una interpretazione anche “filologicamente” corretta, anche se logicamente un fortepiano Silbermann non è la stessa cosa di un moderno Steinway.

Certo si tratta di dire a chiare lettere che la maggior parte del suo repertorio è stata concepita per clavicembalo o addirittura per le sonorità intime del clavicordo. Non oserei mai accusare un bravo pianista di tradire Bach: al massimo di tradurlo in una lingua moderna, perdendo per strada, come in tutte le traduzioni, alcuni preziosi particolari. Forse il prezzo per renderlo disponibile ad un pubblico più grande?