San Carlo Borromeo, nella sua azione riformatrice della Chiesa Ambrosiana, non mancò di interessarsi anche della musica. Dal 1565 al 1584, anno della sua morte, san Carlo presiedette in Milano undici sinodi diocesani e sei consigli provinciali. Sebbene le disposizioni che riguardano organisti e cantori non siano numerose, esse danno però una chiara immagine di come il Borromeo interpretò in maniera severa le norme del Concilio di Trento, di cui era stato un importante protagonista: la musica non doveva in nessun modo essere di distrazione durante la liturgia ne diventare più importante dell’azione liturgica vera e propria.
In molti luoghi si verificava l’esatto contrario: il testo sacro era spesso pretesto per l’allestimento di splendidi concerti, dove più cori di strumentisti e cantori si rispondevano da una parte all’altra della chiesa. Il popolo era sicuramente affascinato da tali artifici sonori ma la maestosità dell’esecuzione era, più che glorificazione di Dio, dimostrazione del potere di chi sovvenzionava l’allestimento: il regnante di turno, il vescovo, il capitolo.
“Organo tantum in ecclesia locus sit; tibiae, cornua et reliqua musica instrumenta excludantur»
L’esclusione dalle chiese di tutti gli strumenti dell’organo fu fra le disposizioni più severe di san Carlo. Ma la vita musicale milanese ne fu veramente condizionata? Possiamo rispondere affermativamente per quanto riguarda la Cattedrale. I concerti di voci e strumenti che risuonavano in altre città (ad esempio, in S. Marco a Venezia o in S. Petronio a Bologna) rimasero estranei alla tradizione del Duomo milanese. La cappella del Duomo, una delle poche che avrebbe avuto i mezzi finanziari per costituire un complesso fisso di strumentisti, si dedicò esclusivamente alla polifonia vocale sostenuta dall’organo.
Questa osservanza dell’antico decreto diede luogo ad un fenomeno particolare: nel corso del Settecento si sviluppò in Duomo un repertorio in cui l’orchestra era sostituita dall’organo concertante. All’organo o ai due organi, che proprio a partire dall’epoca del Borromeo si fronteggiavano ai lati del presbiterio, erano affidate le “sinfonie” e piccoli interventi “a solo” durante le composizioni vocali. Gia alla fine del XVI secolo uno dei due organi del Duomo era dotato di due tastiere: questo consentiva rapidi cambiamenti di timbro e di sonorità, avvicinando l’organo alle possibilità dei più versatili ma più mondani strumenti ad arco.
Il Duomo fu modello di austera severità anche nel bandire dall’organo tutti gli effetti teatrali (divenuti di moda nel corso dell’Ottocento) quali timpani, tamburi e campanelli, e persino nell’escludere dalla disposizione fonica le canne ad ancia.
I Serassi, gli organari più noti di tutto l’Ottocento e la cui fama era legata anche agli sgargianti timbri dei registri ad ancia, chiamati a rifare gli organi del Duomo, si videro ingiungere di “… modellare un organo severo in ogni parte”. A nulla valsero le richieste dell’allora maestro di Cappella Benedetto Neri che cosi scriveva al Capitolo il 5 febbraio 1841: “Il voler poi tenere l’organo nell’antica povertà, si che neppure un registro ad ancia de’ più modesti si debba ammettere, che dia alquanto più grazia a qualche cantabile motivo […] sembra un eccesso di austerità».
In Duomo si, ma nelle altre chiese milanesi?
Ma se la volontà del santo Arcivescovo fu a lungo rispettata in Duomo, non cosi avvenne altrove. Numerose testimonianze ci documentano l’uso degli strumenti nelle chiese milanesi, già pochi anni dopo la morte di S. Carlo. II 18 agosto 1589 l’organaro Giovan Battista Stagnoli, detto il Cacciadiavoli, stipulò un contratto con i frati della chiesa di S. Dionigi per la costruzione di un nuovo organo, “…it quale sia bello et buono…” e accordato ” …in modo che si possi adoperare et suonare in concerto con instrumenti da fiato, et altri instrumenti secondo le occorrenze».
Un organista milanese è ricordato, nei testi di storia della musica, come l’autore della prima sonata in cui il violino è utilizzato come strumento solista che ebbe l’onore delle stampe. Giovan Paolo Cima, infatti, pubblicò infatti a Milano nel 1610 una raccolta di composizioni vocali sacre. In appendice troviamo alcune pagine strumentali, fra cui una Sonata per violino & violone.
Queste musiche erano state composte per il Santuario di Santa Maria presso San Celso, dove Cima era organista e maestro di Cappella. Un’ingiunzione della curia arcivescovile di non usare strumenti in chiesa ricevette dal capitolo del Santuario un’altezzosa risposta: si sarebbe rinunciato agli strumenti solo quando anche nelle altre chiese di Milano si fosse obbedito a tale disposizione.
Gli archivi di altre chiese ci testimoniano come nei primi anni del Seicento gli strumenti partecipassero spesso alle esecuzioni più solenni: dal 1600 al 1613 nella basilica di S. Ambrogio, in occasione delle festa dei Santi Gervaso e Protaso, la musica era affidata a quattro o cinque cantori, a cui si univano il maestro di cappella, l’organista, un secondo organista al regale, tre trombonisti ed un cornettista. Orazio Nantermi, Francesco Lucino, Ruggero Trofeo sono alcuni fra i musicisti più conosciuti che presero parte a queste esecuzioni. Il cornettista, tal Messer Ieronimo, riceveva una paga assai più alta dei colleghi, a conferma di quanto fosse stimato all’epoca un virtuoso di questo difficile strumento. Alcune liste di pagamenti sono molto dettagliate: da esse possibile desumere come i tre trombonisti, «Messer Camillo, messer Baretta e il Cremonese”, appartenessero al complesso degli strumenti di corte o “del castello”. Nel 1602, inoltre, erano presenti anche due strumentisti ad arco: “Messer Hercole con il violin° basso” e “l’Oliggio”, violinista.
Violini, cornetti, tromboni, liuti e piccoli organi portativi sono ampiamente rappresentati nei numerosi dipinti di angeli musicanti che adornano le chiese della diocesi milanese: la sensibilità dei più continuava a vedere nell’uso degli strumenti non un abuso, bensì il realizzarsi del salmo 150:
Lodate it Signore con squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra, lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui flauti, lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti, ogni vivente dia lode a Dio.
La presenza degli strumenti attirava spettatori ad un genere di rappresentazione sacra non propriamente liturgica, che prese piede nel corso del XVII secolo: l’oratorio, sorta di opera in musica di argomento sacro, rappresentato per lo più senza recitazione seppur accompagnato da un apparato scenografico.
Nel 1697, il contratto d’assunzione di Dionigi Erba a maestro di cappella in Santa Maria presso San Celso specificava: “… sia obbligato componere le cantate volgari, et quello si pratica di presente a più voci con l’instrumenti, che si cantano li tre giorni dell’esercitii ogn’anno alla settimana grassa”. II carnevale, la Quaresima e il Natale erano i momenti che più si prestavano a queste rappresentazioni.
II viaggiatore olandese Jan Alensoon annotava nel suo diario come nel gennaio del 1725 potè assistere nella chiesa dei Gesuiti alle prove dell’oratorio “Gli Elementi in gara nell’ossequio di Gesa Bambino” con musica di Giovanni Maria Marchi e, nella chiesa di Sant’Antonio, ad una rappresentazione di canto e recitazione. In questa occasione Alensoon notava come: “… fra gli altri vi era uno chiamato Giuseppe Martini che suonava l’oboe miracolosamente tale che non posso credere si possa fare meglio». Si trattava del virtuoso Giuseppe Sammartini, trasferitosi in seguito a Londra.
II fratello di Giuseppe, Giovan Battista, fu l’unico compositore milanese destinato a raggiungere una vasta fama. Giovan Battista Sammartini era clavicembalista, organista, violinista e compositore: ben presto a lui fece capo un’orchestra d’archi eccellente; le sue composizioni fanno di lui l’iniziatore del moderno sinfonismo. Nel 1728 era maestro di cappella in S.Ambrogio. Nel 1770 ricopriva la stessa carica in ben otto chiese cittadine, dove si eseguiva musica strumentale nelle grandi solennità. Non a caso la sua figura rimase estranea alla vita musicale della Cattedrale. Il Duomo restava fedele alle disposizioni di S. Carlo. Il già citato Alensoon annotava nel suo diario di viaggio come la musica in Duomo fosse solo vocale o al massimo accompagnata dall’organo.
La stessa situazione a testimoniata nel 1770 da Charles Burney nel suo libro “Viaggio musicale in Italia”, dove troviamo una ricca descrizione di come le orchestre fossero ormai abitualmente presenti nelle funzioni più solenni. Egli scriveva: “Il 20 luglio c’era musica in tre chiese diverse; avrei desiderato assistere a tutte le esecuzioni, ma non mi fu possibile ascoltarne che due; la prima aveva luogo al mattino nella chiesa di Santa Maria Secreta e si trattava di una Messa in musica composta e diretta dal signor Carlo Monza; suo fratello suonava nella parte di primo violoncello con molta facilita, ma senza molto gusto e con un’intonazione imperfetta; primo violino era il Signor Lucchini; tra i cantanti vi erano due o tre castrati. Per l’occasione era stato allestito un piccolo organo assai scadente; in chiesa ve n’era uno grande, ma era situato in una cantoria troppo piccola perché vi trovasse posto un’orchestra.
La musica era piacevole; lunghe ed ingegnose sinfonie servivano ad introduzione ad ogni ‘concerto’ – cosi sono talvolta chiamate le diverse parti della messa. (…) La seconda messa che ascoltai oggi era stata composta da Battista San Martini ed eseguita sotto la sua direzione nella chiesa del Carmine; le sinfonie erano ben costruite con la vivacità e l’impeto caratteristici di questo musicista. (…) Ciprandi, un ottimo tenore (…) canto in modo nettamente superiore a tutti gli altri. L’orchestra era insignificante; la parte di primo violino era affidata a Zuccherini che qui e considerato un buon musicista. Ho notaio che a queste funzioni ii pubblico è scadente e la gente colta non vi assiste; sono presenti soprattutto il clero, mercanti, artigiani, contadini e mendicanti, quasi tutti disattenti e chiassosi e che di rado rimangono in chiesa fino alla fine dell’esecuzione”.
A questa incredibile situazione si era arrivati due secoli dopo il decreto di S. Carlo: la liturgia era solo un pretesto per spettacoli musicali di dubbia qualità.
Le rappresentazioni di oratori con l’intervento di intere orchestre erano frequenti nelle chiese milanesi ed in particolare a S. Fedele; purtroppo di ben pochi è conservata la musica. I testi ci sono noti perché, come per le opere, anche per gli oratori veniva stampato, in più copie, il libretto.
Una tradizione che ha origine dalla pratica dell’oratorio, è testimoniata, nella prima meta dell’Ottocento, dai registri di pagamento della basilica di S. Simpliciano: in occasione della Settimana Santa veniva allestito “lo scurolo”, rappresentazione scenografica del Santo Sepolcro. A giudicare dalle forze impiegate per allestire le scene non doveva essere cosa di piccole dimensioni; il Giovedì santo veniva eseguita “una cantata”, con accompagnamento di cembalo e violoncello. Anche nei monasteri femminili, numerosissimi a Milano prima delle soppressioni napoleoniche, documentato l’uso di altri strumenti, oltre all’organo.
Il decreto di S. Carlo ebbe dunque conseguenze relative. La proibizione venne osservata solo in Duomo. Suonare strumenti in chiesa fu un contravvenire ad una disposizione mai annullata, ma questa non fu di grande peso allo svilupparsi della musica sacra con strumenti. Le cantorie degli organi rimasero piccole, non certo adatte ad ospitare un’orchestra: ma furono ugualmente piccole in altre diocesi italiane dove non vigeva il divieto. Non si può certo confrontare la musica sacra strumentale milanese con quella sviluppatasi a Venezia, a Vienna o a Parigi: ma il motivo va ricercato forse nelle condizioni sociali e culturali dello Stato di Milano più che nell’antica proibizione di Borromeo.